21 maggio 2019

RIORDINO DI UNA TOMBA DI FAMIGLIA

di Ivano Peron 

Con i colleghi di ruolo cercai d'instaurare un buon rapporto di lavoro, e tra i nuovi assunti come me, c'era l'amico Devis con il quale condivisi questa nuova esperienza che ci avrebbe poi contraddistinto per sempre agli occhi degli amici in comune, come i due 'becchini'.

Qualcun'altro invece, credo non nutrisse particolare simpatia nei confronti del sottoscritto a causa del mio evidente interesse e la mia disinvoltura per il lavoro cimiteriale che poteva spiazzare e mettere in cattiva luce chi era lì invece unicamente per lo stipendio.

Venne infatti il giorno in cui, dopo un breve periodo d'ambientazione con mansioni relativamente leggere, io e gli altri colleghi novantisti dovevamo entrare nel vivo del lavoro con il primo riordino di una delle tante tombe di famiglia sotterranee che si trovano lungo i portici lato ovest del Monumentale.




Prima di quel momento avevamo semplicemente maneggiato bare durante i funerali per il trasporto, la sepoltura o per l'avviamento in cremazione, ma nessuno di noi aveva presenziato ad un'esumazione o un'estumulazione di una salma.

I film dell'orrore ambientati nei cimiteri che da adolescente avevo visto a palate, non avevano nulla a che fare con le esperienze concrete che poi vissi lavorando al camposanto.

Quì si trattava realmente di vedere con propri occhi, toccare con proprie mani e sentire i penetranti odori della decomposizione dei corpi.

Il lavoro consisteva nell'estumulare tutte le salme presenti all'interno della tomba asportando il coperchio della cassa di legno prima e quello interno di zinco poi, per raccogliere e deporre i resti mortali in apposite cassettine di zinco contraddistinte dal nome identificativo del defunto e la relativa data di morte.

Inoltre si doveva ripulire la tomba dai resti lignei delle casse, lo zinco, il materiale rivestente la bara e quanto rimaneva degli indumenti delle salme, sistemando poi le cassettine ordinatamente per far spazio ad eventuali future tumulazioni.

Sollevammo pertanto con un calaferetri a catene la pesante lastra di pietra sul pavimento del portico, posta a sigillo della tomba stessa e l'appoggiammo lateralmente.

Il coordinatore ci invitò poi a scendere per eseguire il riordino, ma il gruppetto interessato era assai esitante dopo aver intravisto nella tomba sotterranea vecchie bare accatastate le une sopra le altre.

Personalmente attendevo quel momento già da settimane perchè sapevo benissimo che l'operatore cimiteriale aveva il compito di seppellire e 'disseppellire', ancora prima che venisse specificato dall'ufficio di collocamento il giorno in cui presentai domanda.

Perciò scesi da solo e senza scala nella tomba appoggiando un piede su una catasta di bare e  l'altro piede su quella parallela, ignaro che l'umidità e gli anni potessero far cedere sotto il mio, tra l'altro modesto peso, le casse di legno.




Le casse marcescenti cedettero tutte, così mi ritrovai sul fondo della buia tomba in un battibaleno, miracolosamente incolume e ancora in piedi, tra polvere di calcinacci e tavole frantumate di legno ammuffito, brandelli di vestiti unti e teschi rotolanti.

Sconcertati i colleghi che dall'alto avevano appena assistito alla mia pericolosa discesa, si accertarono a voce delle mie condizioni, ma io stavo veramente bene e non solo fisicamente.

Mi trovavo semplicemente nel posto che dovevo e soprattutto, volevo essere.

Devis, l'unico tra i cinque rimasti sù, scese per darmi una mano ed insieme raccogliemmo con cura i resti mortali di tutte le salme che erano state tumulate in quella tomba.

Iniziavamo così a far conoscenza diretta, dell'apparato scheletrico umano e diventare sempre più consapevoli della corruttibilità del corpo, poichè eravamo gli unici tra gli operatori temporanei a scendere sistematicamente nelle tombe o nelle fosse durante le operazioni di esumazione o estumulazione delle salme.





11 maggio 2019

A BORDO DI UN CARRO FUNEBRE

di Ivano Peron 

Nonostante all'epoca non avessi ancora compiuto ventiquattro anni, mi ritrovai orgogliosamente ad indossare in più di un'occasione la divisa che i colleghi più anziani indossavano per eseguire i trasporti funebri.

Le mie fantasticherie da ragazzo di viaggiare un giorno a bordo di un carro funebre, divennero così esperienze reali in contrasto decisamente con i sogni dei miei coetanei attratti da moto e auto sportive.

Al culmine del mio fantasticare, dopo aver realmente visionato un carro presso un'autodemolizioni, me ne immaginai uno d'epoca parcheggiato nel garage di casa con il quale poter circolare di tanto in tanto per le strade come fosse un autoveicolo qualsiasi.




Il giorno in cui viaggiai davvero, affiancavo il collega alla guida di un datato Fiat 132 nero dagli appariscenti interni rossi, durante il tragitto dall'abitazione del defunto alla chiesa per il funerale e successivamente dalla chiesa al cimitero per la sepoltura.

Riflettevo sul numero di salme che i carri comunali avessero trasportato in tutti quegli anni prima del mio arrivo e ricordo chiaramente gli sguardi mesti, i segni della croce...percepivo tocchi scaramantici dei passanti alla vista del feretro ben visibile attraverso i lunghi vetri laterali del carro funebre.

In quei frangenti, ma anche quando al cimitero calavo la bara nella fossa, ero consapevole d'apparire agli occhi degli altri come quel personaggio un po' sinistro che l'operatore cimiteriale viene purtroppo spesso dipinto, e ciò che un giorno mi disse una signora, credo esprima bene il concetto: 'Lei è bravo, ma ...non mi è simpatico!'